Onorevoli Colleghi! - Da circa quindici anni nel Comparto difesa è in atto un riordino dello strumento militare per adeguarlo ai nuovi scenari geopolitici, alle nuove alleanze e soprattutto alle nuove minacce presenti su scala internazionale.
      Nonostante tali profondi cambiamenti, risulta incomprensibile il mantenimento della maggior parte delle forze terrestri nell'area centro-nord, dove il processo di democratizzazione dei Paesi dell'est europeo è ormai giunto a compimento, a fronte della minaccia rappresentata dal terrorismo medio-orientale che giustificherebbe una ridislocazione territoriale delle forze anche nell'ottica delle operazioni di controllo del territorio.
      Se la crescente importanza assunta dallo strumento militare, proprio in aderenza alle mutate circostanze internazionali, non ha condotto a un mutamento della dislocazione e della composizione sul territorio delle Forze armate, d'altra parte il processo di trasformazione della leva obbligatoria in servizio volontario professionale non sembra ancora aver prodotto la tanto auspicata riqualificazione del personale in servizio, motivo di delusione e disagio fra il personale militare.
      L'attuale sistema continua a corrispondere a una concezione statica, se non monolitica, della progressione gerarchica che mortifica le attese di carriera del personale, ponendo in evidenza una

 

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realtà ancorata a una concezione risalente al periodo pre-unitario, che porta con sé baronie, privilegi e discriminazioni.
      Perdurano situazioni di sacche di precariato, in massima parte di giovani meridionali, ai quali viene promesso un futuro da professionista con le stellette, insieme al crescente numero di volontari, che nella stragrande maggioranza non passeranno mai al servizio permanente, costretti a dover prestare servizio lontani dalla propria regione, in un luogo chiamato «riserva», spesso in condizioni di emarginazione.
      Infine, non va elusa la situazione degli attuali organici del personale del Comparto difesa, in esubero per la categoria degli ufficiali e per il ruolo dei marescialli ma in deficienza per il ruolo dei sergenti e per i volontari in servizio permanente.
      È necessario quindi ripensare lo strumento militare alla luce delle nuove esigenze, sia esterne che interne al nostro Paese, capaci anche di creare condizioni di sviluppo economico strettamente legate a una forte presenza dello strumento militare nel Mezzogiorno d'Italia. Occorrono risposte strategiche e politiche che sappiano cogliere le attese di cambiamento sopra esposte, anche in considerazione del fatto che la maggioranza delle donne e degli uomini in armi, che aspirano a svolgere il proprio servizio nella propria terra e fra la propria gente, proviene dal meridione.
      Purtroppo gli organi della rappresentanza militare non riescono a incidere sulle scelte governative, essendo relegati in un ruolo meramente consultivo che si rivela spesso inefficace; un ruolo che richiederebbe una maggiore valorizzazione proprio in considerazione della peculiare risorsa insita nella struttura della rappresentanza militare, in grado di esprimere una forte carica unitaria e democratica, in forza della rappresentatività che le deriva dallo stretto rapporto con la propria base.
      È in conseguenza di tali considerazioni che viene presentata la proposta di legge in oggetto, che accoglie ciò che di positivo offrono i modelli delle Forze armate di altri Paesi occidentali; un progetto che intende promuovere un criterio di dinamicità tra i gradi e le categorie, introdurre un adeguamento delle indennità di impiego operativo, perequare le attuali differenze economiche in ragione dei particolari compiti e dei reparti in cui opera il corpo militare, favorire la formazione professionale e l'elevazione culturale, sostenere la stabilizzazione di talune figure necessarie e tuttavia attualmente sottostimate nelle Forze armate, incoraggiare, infine, un nuovo sistema di avanzamenti di carriera.
 

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